G.DF. S.A. per www.vesuvioweb.comVincenzo Marasco: Maria ’a sposa. 2Il mito di “Maria la sposa” approdò a Torre Annunziata poco dopo la secondaguerra mondiale e la sua popolarità ebbe grande risalto negli anni '50 e '60. La suastoria può essere considerata come uno dei fenomeni di più larga risonanza, tanto datravalicare i confini del quartiere e della città, diffondendosi oltre come generalmentesi diffondono i più eclatanti miti pseudo-religiosi.La leggenda trovò in un primo momento il suo terreno fertile nel cosiddetto“quadrilatero”. In questo rione, come vogliono le cronache cittadine e le antichememorie che ancora ricordono il mito, vi abitava l'apostolo di Maria la sposa. Figuraalquanto dubbia e misteriosa che asseriva di essere colui che conservava il segreto diquella leggenda popolare.L'origine
L'origine di questa storia è segnata da una data tragica. Siamo al 30 dicembre1939. La città si sveglia sotto uno spettacolo insolito, ricoperta da una coltre di neve.Quella che doveva essere una magnifica giornata insolita, si trasformò ben presto inun miserabile giorno di lutto.Il direttissimo proveniente dalla Calabria, in transito per la stazione di TorreCentrale, alle ore 8 circa, investì un treno passeggeri fermo nella stazione, perché, aquanto si seppe, le segnaletiche non funzionarono a causa della neve caduta durante
la notte. Il bilancio di sangue fu molto grave.Ventinove furono i morti ed un centinaio i feriti
Tra i morti, secondo la leggendaria versione popolare, vi sarebbe stata una sposain viaggio di nozze. A distanza di anni, la fantomatica sposa, sarebbe andata in sognoad una persona: l’Apostolo. A lui avrebbe indicato il luogo esatto dove le sue spogliemortali erano state deposte, tra tanti scheletri, sotto la chiesa madre del camposantotorrese e lì, lo pregò di donare alle sue misere spoglie una ricomposizione dignitosa.
Questa persona, in compagnia di alcune “comari” del quartiere, si recò alCimitero e, una volta disceso nell’ossario scelse, secondo le indicazioni del sogno,uno scheletro, e lo rivestì, aiutato dalle comari, che premurosamente assolvevano alcompito preposto, con un abito bianco da sposa. Dopo l’accurata vestizionericollocarono lo scheletro in disparte dagli altri resti mortali che giacevano inquell’antro.Da lì a poco nasceva così il mito di “Maria la sposa” che, diffondendosi semprepiù, con assicurazioni di grazie ricevute e di presunti miracoli, fece piovere offerte daogni dove di cui però si ignora la destinazione.
Con una parte di quelle laute offerte venne così costruita un’urna di cristallo, elo scheletro, che fino a quel momento era stato posto un una nicchia di fortuna con ilsuo abito bianco, divenne oggetto di interminabili pellegrinaggi dove ogni “fedele”lasciava sull’urna il segno di quella pagana devozione.Nel frattempo, mai nessuno si occupò di sottoporre le presunte spoglie mortali di“Maria ’a sposa” a perizie che potessero accertarne le reali cause del decesso o il suosesso. Comunque sia, ciò non ebbe gran peso poiché la psiche cittadina risultò moltoincline a credere a quelle dicerie accolte con gran fervore da una schiera sempre piùconsistente che credevano in quello scheletro miracoloso.Ben presto, ed era cosa inevitabile, tale credenza approdò però al cospetto dellacuria arcivescovile nolana che non poté fare a meno di mettere fine a quel fervorepagano con un decreto redatto nell’ottobre del 1968 con il quale si vietavaassolutamente, una volta per tutte, quella “insana” devozione che assumeva semprepiù caratteristiche speculative e contrastante con i principi fondamentali della Chiesa.
Attualmente quell’urna, ormai dimenticata dalle nuove generazioni che ignoranoquesta curiosa vicenda cittadina, rimane, nel suo antro chiesastico dimenticata elontana oramai da ogni pensiero che potesse rievocare la leggenda. In fondo sembracosa giusta che quello scheletro, “Maria ’a sposa”, ritrovasse quella pace eterna cheper un periodo fu sconvolta dalle dicerie, dal paganesimo tradizionale partenopeo chein quealche modo non ci risparmia.
Vincenzo Marasco
Il culto di “Maria la Sposa” tra mistificazione e leggenda
E’ come districarsi in un labirinto di ricordi confusi e dati confutabili quando si cerca di ricostruire la storia, cara al popolo oplontino, di “Maria la sposa”. Sembrava bastasse chiedere a qualche nonno diTorre Annunziata per svelare il mistero che avvolge la storia di questa giovane donna, ma anche lì la discrepanza di notizie non aiuta sulla buona strada della ricostruzione storica.
In soccorso giungono alcuni ritagli di giornale, conservati dal cultore Antonio Papa, già curatore delblog “Memorie
torresi” e che colleziona quotidiani antichi riguardanti proprio la storia di Torre.
Da qui apprendiamo che la vicenda ebbe inizio nel 1939.
Il 29 dicembre di quell’anno, a causa di una intensa nevicata, due convogli si scontrarono nella stazione di Torre Annunziata centrale. Questa la notizia data dal giornale “La Stampa” dell’epoca:
All’indomani del grave incidente avvenuto in stazione così veniva ripresa la notizia:
Parlando con alcune persone torresi che ancora ricordano quegli eventi, raccontano che la città tutta si mosse per le onoranze funebri e che a Torre ci fu un grande via vai di personalità. Il disastro ferroviario sconvolse tutta la comunità, che si strinse intorno ai parenti delle vittime con lo spirito di partecipazione e commozione a cui da sempre era incline la popolazione torrese. Nell’occasione intervenne a Torre anche il Principe del Piemonte, come riportato da “La Stampa”.
Nell’archivio online del “Corriere della Sera” si trova uno stralcio di un’intervista a Claudio Nico che riporta quanto segue:
Ritornando alla storia di “Maria la sposa”, questo fu l’antefatto. Nel grave incidente, infatti, si narra che perse la vita anche una giovane donna calabrese, che si stava recando in viaggio di
nozze col suo giovane consorte.
La sua salma fu deposta, insieme a quelle delle altre vittime, nel cimitero di Torre, nella cripta della Chiesa del Suffragio.
Leggenda narra che, dopo qualche anno, all’incirca negli anni ’50, lo spirito della giovane donna andò in sogno ad un abitante oplontino, pregandolo di darle degna
sepoltura. In cambio, avrebbe portato fortuna alle giovani coppie che si fossero recate sulla sua tomba. L’uomo, colpito da tale sogno, ma deciso ad andare fino in fondo alla vicenda, raccolse un
gruppo di donne e, dopo qualche giorno, si recò lì dove gli aveva indicato la giovane in sogno.
Con l’aiuto delle “comari”, scese nell’ossario della chiesetta cimiteriale e raccolse lo scheletro nel luogo indicato, lo vestì con un abito da sposa e lo ripose in una nicchia.
Nonostante le ricerche, così come sull’identità della fanciulla, anche su quelle dell’uomo e delle donne che lo hanno aiutato nell’impresa c’è mistero. Sul primo, alcuni affermano che era un commerciante di stoffe molto conosciuto in città, morto circa dieci anni fa all’età di 86 anni, ma nessuna fonte avvalora questa tesi. Anche sulle “comare” c’è riserbo assoluto e vani sono stati tutti i tentativi di cercare ragguagli, come se la cosa dovesse essere dimenticata anziché riproposta.
Tornando alla storia, la storia della fanciulla attirò in città da ogni dove numerosissimi curiosi, tanto che della vicenda fu costretta ad interessarsi la stessa Curia. Dalla nicchia, il corpo della giovane fu esposto in una teca di vetro e divenne meta di pellegrinaggio e, sempre secondo la leggenda popolare, le giovani ragazze vi si recavano con i loro consorti prima del matrimonio per avere la benedizione della sfortunata sposa.
Per grazie ricevute e per presunti miracoli, la tomba di “Maria la sposa” – il nome che fu dato alla fanciulla dal popolo oplontino – si riempì d’oro e di voti tant’è che fu depredato diverse volte.
Nel maggio del 1965, come riporta sempre un articolo d’archivio de “La Stampa”, furono portati via dal sarcofago della fanciulla miracolosa circa cinque chilogrammi di preziosi, tutti ex voto in oro e brillanti, per un valore di circa 10 milioni di lire, provocando l’indignazione della popolazione oplontina e di quella dei comuni limitrofi. Erroneamente però, le cronache di quegli anni riportano che la morte della fanciulla avvenne nello scoppio dei carri di munizioni che rase al suolo parte del quartiere Porto il 26 gennaio del 1946.
Qualche anno più tardi, nel 1968, la Curia di Nola volendo frenare la risonanza che la storia di “Maria la sposa” stava riscuotendo in tutta la regione, vietò il culto alle spoglie della giovane fanciulla che, però, rimase lì, dove ancora riposa.
(Si ringrazia Antonio Papa per il prezioso contributo fornito per la realizzazione dell’articolo)
STRAGE DEL 1939, CONDANNATI A 5 ANNI DI CARCERE!!!
ATTENZIONE !
NON E' UN ERRORE!
QUESTO POST ERA STATO PUBBLICATO IL 6 FEBBRAIO E FORSE QUALCUNO DI VOI LO AVRA' GIA' LETTO....SOLO ADESSO HO RITROVATO QUESTO ARTICOLO DEL 19 MARZO 1941 IN CUI VENGONO RICONOSCIUTI COLPEVOLI DELL'INCIDENTE I DUE FERROVIERI DELLA STAZIONE DI TORRE CENTRALE, RAFFAELE FONTANA E NICOLA RICCIARDI , I QUALI VENGONO CONDANNATI ALLA PENA DI 5 ANNI DI RECLUSIONE E AL PAGAMENTO DELLA SPESA DELLE PARTI , A FRONTE DELLA RICHIESTA DEL PUBBLICO MINISTERO DI 14 ANNI.
SOTTO IL POST TROVERETE GLI ALTRI ARTICOLI RIGUARDANTE LA " STRAGE DEL 1939 "
Antonio Papa(.Fonte)
Il 13 maggio 1965 venne profanato il sarcofago che conteneva le ossa di "Maria a sposa",perita nell'incidente ferroviario del 30 dicembre 1939.
Nell'articolo in questione balza subito all'occhio il clamoroso abbaglio del cronista il quale confonde l'incidente ferroviario con la terribile esplosione del 21 gennaio 1946.
Da notare inoltre la grande quantità di oro e brillanti derubati ,quasi cinque chili di preziosi interamente ex voto.
A venticinque anni dalla morte "Maria" riusci' ancora a fare felice altre persone....
La porta vetrata lasciava intravedere una flebile luce accesa, forse per vigilare su ciò che rimane di quelmigliaio di scheletri accatastati poco distanti. In religioso silenzio, per la paura che quel luogo sacro mi incuteva, ho iniziato, uno alla volta, a scendere i gradini di quella scala che ruotava intorno a una colonna.
Le ragnatele che pendevano dal soffitto erano così fitte che, a contatto con la pelle, sembravano tante mani che cercavano di sfiorarmi e, nonostante i buoni propositi, ero decisa ad abbandonare l’idea di scendere fino in fondo. “No! Devo resistere – mi ripetevo spaventata per darmi coraggio – Non avrò un’altra occasione!” Con il manico della torcia a modo di scopa per aprirmi un solco in quelle sottili eimpalpabili tele, sono arrivata alla fine della scala col cuore che mi batteva a mille.
E’ bastato un rapido sguardo tutt’intorno per capire che lì, da anni, nessuno era più sceso e che il tempo aveva calato sui quei resti umani un sipario di polvere e dimenticanza. Tutto era spettrale e aumentava la mia paura: una piramide enorme e scomposta di teschi e ossa, cassette vuote una volta contenentireliquie umane sparse qui e là, fiori sbiaditi dal tempo e …
Ero così spaventata da quella visione funesta che ho smesso di guardare e ho cercato velocemente con lo sguardo solo quello per cui ero andata lì: vedere Maria la sposa.
Mi sono girata lentamente, quasi come se inconsciamente non volevo disturbare nessuno, e immediatamente la mia attenzione è stata attirata da due teche di vetro. La prima era vuota, conteneva soltanto fiori secchi e chincaglierie (credo!) senza valore. L’altra era poco distante e proprio in quella giaceva lo scheletro della fanciulla che ha animato, per decenni, la leggenda più amata della terra oplontina.
Conoscendo la storia e le credenze popolari legate a quella fanciulla, sono stata percorsa da un brivido. L’avevo immaginata diversa quella donna e moglie tanto sfortunata. La teca era piccola e sembrava essere stata costruita proprio per contenere quel corpicino apparentemente di bambina.
Sulle vesti bianchi ancora giacevano fiori, rosari, orecchini, perle e qualche voto, lasciati a imperitura memoria di ciò che aveva rappresentato quello scheletro per il popolo torrese. Nonostante gli anni, ilcandore della veste era rimasto inalterato: un bianco luccicante che donava alla fanciulla un misterioso senso di pace e tranquillità.
Ho osservato minuziosamente tutto ciò che era lì contenuto e a colpirmi è stata una cosa apparentemente banale, senza riuscire a capirne il perché: sulla parte bassa del vestito, adagiate poco distanti dai piedi di Maria, un paio di scarpe bianche, con la suola di cuoio. Le ho osservate per qualche minuto, per poi scoprire che erano come quelle che ancora oggi indossano le spose per andare all’altare e unirsi ai loro amati mariti. Quelle sarebbero servite a guidare i passi di quell’anima sfortunata nel suo cammino oltre la vita.
Il mio tempo era scaduto. Ho guardato per l’ultima volta quella donna e, da torrese, col cuore che mi ribolliva di paura, le ho affidato il mio desiderio più nascosto e chiesto la sua protezione sulla mia famiglia.
Autore:
9 settembre 2011